mercoledì 11 settembre 2013

What was that dress? Iconografia dell'abito hollywoodiano

[…] Il lavoro sull’abito hollywoodiano è estremamente interessante ed è affrontato con cura dall’autrice. Viene messa in evidenza l’attenta sinergia e cooperazione che, a partire dai primi anni Trenta, si verificava tra costume designer, studio cinematografico e quel comparto chiamato Modern Merchandising Bureau (come ci spiega Gaia Stella Sangiovanni, la catena di grandi magazzini Macy’s, ad esempio, confezionava in serie abiti apparsi sul grande schermo).

La stratificazione delle competenze che abbiamo di fronte quando guardiamo alla moda e al cinema complica, dal punto di vista di organizzazione economica e di marketing, le modalità di circolazione e la creazione di tendenze. La ricostruzione storica va affrontata recuperando i primi magazine che facevano riferimento agli abiti portati in scena, al powder puff e altri tipi di strategie che arrivano fino ai giorni nostri, in cui la concezione dell’unione tra cinema e moda è veramente molto profonda. Come ci ricorda l’autrice, già Vogue nel 1932 intitolava un suo editoriale Does Hollywood Create? Il suggerimento iniziale di Diana Vreeland secondo cui l’abito non è niente in sé ma si carica della storia che può raccontare, diventa il propulsore per una diffusione vastissima di un sistema di oggetti con una vita propria (dal basco di Ninotchka all’abito di Joan Crawford); con la grande capacità d’intercettare e anticipare gli stili, i movimenti, i concetti di brand, la rivoluzione nella rappresentazione femminile. Un lavoro che ci aiuta a complicare l’esperienza cinematografica, rendendola un’esperienza da sfogliare. 

Dalla Prefazione di Marta Martina

Il libro è reperibile sul sito di Edizioni Arcoiris al link