"Nel mondo
disgraziatamente reale in cui ci muoviamo, che per ventura buona talvolta
desidera provare il gusto della ribellione nei confronti delle leggi a cui
viene costretto da una pletora di saperi spesso piuttosto arroganti e
prescrittivi, esistono anche degli oggetti che di per sé fanno fatica a essere
incasellati, repressi nella quiete della stasi, definitivamente compresi e
spiegati, secondo la versione che si scelga, ossia posti all’interno di una o
più celle dell’enorme matrice illuminista che abbiamo predisposto per addomesticare
le cose. Oggetti che, forse, nascono proprio per sollevare polvere, per mettere
confusione tra gli scaffali della nostra grande biblioteca, ovvero
quell’assetata matrice di cui si è appena detto. Il castello del conte di
Lautréamont, quell’immaginifica costruzione a cui si accede leggendo I canti di Maldoror e ciò che di
quest’opera è stato detto e scritto, sgomentevole labirinto sospeso a mezz’aria
su una landa di bruma, è uno di questi oggetti. E numerosi sono stati gli
interpreti di siffatto castello, gli esploratori che vi si sono avventurati
allo scopo di renderne una legittima ed esauriente cartografia: alcuni
illustri, altri un po’ meno. Tutti hanno contribuito a strutturarne stanze
ingannevoli, passaggi nascosti, corridoi ciechi e anse mendaci. Tutti hanno
provato a concepire e quindi intagliare mensole adatte a sopportare adeguatamente
il peso del libro di Lautréamont, ossia, in un modo o nell’altro, a definire le
categorie di una serie le cui unità siano esaustive e, sarebbe preferibile,
mutualmente esclusive; esattamente il contrario di quanto avviene nell’«Emporio
celeste di conoscimenti benevoli». Ma quel mostro furente e multiforme che è I canti di Maldoror, a circa
centocinquanta anni dal suo primo concepimento ferino, unione incestuosa tra
una femmina di squalo e un sovrano apolide, consanguineo di pidocchi e
mignatte, scalpita ancora, si ribella alle catene impostegli, sferra calci al
contempo tentacolari, cartilaginei e anche ungulati, frantumando quella matrice
dell’ordine che più o meno vanamente tenta di imprigionarlo, somigliando tra
l’altro sempre di più alla ferrea sostanza delle grate di una prigione e dei
cancelli della cattività.
È di questa ribellione che Fernando Butazzoni, nel
libro appena concluso,
ci ha parlato, elencando con pertinenza e gusto soggettivo (mai si può fare
altrimenti), con foga per nulla dissimulata e con ironia (mai si dovrebbe fare
altrimenti), con divertimento e talvolta anche con ammirazione, alcuni dei
tentativi messi in opera da un ampio insieme di impiegati catastali alle prese
con l’oscuro castello dell’incomprensibile conte di Lautréamont, del giovane
franco-uruguaiano Isidore Ducasse e del sanguinosamente ambiguo Maldoror,
trinità alla rovescia nient’affatto celestiale. Butazzoni, dalla sua
piattaforma individuale di scrittore e lettore piuttosto che di critico di
professione (cosa di cui egli stesso non fa nascondimento), con la sua indole
da pacato avventuriero piuttosto che da maldestro turista, con la sua voglia di
sentire gli stranieri parlare piuttosto che di insegnare loro la propria
lingua, prova così a disfarsi delle guide a buon mercato e del cappello a falda
larga per passeggiare tra le mura, le torri e le segrete della fortezza: per
farsi inghiottire, grosso modo, dal labirinto che esse rappresentano e
costantemente riproducono. E sembra proprio che abbia voluto farlo in
opposizione a quella logica turistica che, in altri casi, ha guidato la visita
di altri ospiti del maniero.
La lettura
dell’opera di Lautréamont è un’impresa che può approssimarsi essenzialmente a
due possibilità: utilizzare i saperi arroganti che concedono e ammettono
soltanto gli spazi e l’interpretazione da loro stessi generati e predisposti
per l’ordinamento delle cose del mondo, oppure farsene beffa scherzosa (con la
dovuta avvertenza che, in questo genere di cose, la beffa e lo scherzo non sono
mai faccende di natura goliardica e faceta, tutt’altro; sono piuttosto rifondative,
palingenetiche, volendo eccedere in elegiaci sensazionalismi). Nel suo Elogio dei regni immaginari Fernando
Butazzoni decide di imboccare esattamente la seconda delle due strade, e le sue
riflessioni sul castello del conte di Lautréamont, ancora una volta, non fanno
alcun mistero di questa intenzione basilare".
Tratto da Contro la domesticazione di Livio Santoro.
Elogio dei regni immaginari di Fernando Butazzoni, ultimo volume della collana La battaglia dei libri diretta da Loris Tassi e Roberto Colonna, è disponibile sul sito di Edizioni Arcoiris all'indirizzo http://www.edizioniarcoiris.it/index.php?id_product=182&controller=product
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