Pubblicato
in Argentina nel dicembre del 1982, Ceneri
nel vento è
ben presto entrato nel canone dei romanzi sulla dittatura militare scritti
negli anni Ottanta.
Il titolo è tratto da un verso della famosa “Poesia
congetturale” di Jorge Luis Borges, testo che si riferisce in forma di
monologo poetico alla violenza e all’uccisione per sgozzamento del politico
argentino Narciso Laprida, durante le lotte interne per la creazione di uno
Stato Nazione in epoca postcoloniale. Fin dal titolo, Dámaso Martínez propone
al lettore una serie di suggestioni e di congetture ricorrenti in tutto il
testo e che ritroviamo anche nelle due epigrafi al romanzo dove la città di
Córdoba, protagonista reale e simbolica dell’opera, viene descritta da due
autori – Sarmiento e Moyano – che rappresentano in modo emblematico le lettere
argentine del passato e del presente.
Questa molteplicità di tempi e di spazi che Dámaso
Martínez ci suggerisce fin da subito è uno degli elementi chiave per capire il
romanzo che si sviluppa in diversi periodi della storia argentina tenuti
insieme dal filo conduttore della memoria e dalla scrittura.
Il
mondo inquietante di Ceneri nel vento è quello della lotta
politica popolare e delle sue conseguenze di violenza e incertezza: dal Cordobazo (1969),
rivolta operaia e studentesca contro il governo di Juan Carlos Onganía, alla repressione e alle desapariciones perpetrate
dalla dittatura nel 1976 per poi procedere a ritroso, attraverso le memorie del
militante democratico (zio Julio), agli scontri tra peronisti e antiperonisti
(leali e ribelli).
Il passato, tuttavia, non è raccontato in termini
realistici o di testimonianza in senso tradizionale, e questo è uno dei
principali pregi dell’opera di Dámaso Martínez, fra le prime a proporre una
“versione” non realista della tragedia della dittatura.
Il romanzo si configura dunque come un puzzle, un
insieme di ricordi frammentati e di memorie che indagano il passato e il
presente argentino attraverso un diario scritto non si sa bene per chi.
Suddiviso in due parti interconnesse tra loro, senza la seconda parte in cui Esteban ritrova i
documenti e le lettere del fratello Luis, la prima parte non potrebbe esistere.
[…]
Altra caratteristica del romanzo e, più in generale, dell’opera di Dámaso
Martínez risiede, come ha ben sottolineato María Cecilia Graña
nell’introduzione a La piena,
nella capacità dell’autore argentino di muoversi tra diversi generi letterari.
Una
mobilità in grado di offrire al lettore una doppia – e piacevole – confusione
o, per essere meno netti, un doppio disorientamento: da un lato, quello proprio
del genere fantastico, in cui l’opera si inserisce per mero spirito
macro-tassonomico, in grado di rompere le normali percezioni (leggi
scientifiche o razionali) del lettore per sostituirle con l’inaspettato, il perturbante,
il folle o l’imponderabile; dall’altro, le molteplici letture, la mancanza di
una filiazione immediatamente riconoscibile e riconducibile a un genere in
particolare.
[…] La
commistione dei generi cara a Dámaso Martínez è frutto della scuola letteraria
rioplatense (ma è possibile identificarla come una dinamica di produzione
letteraria latinoamericana in generale) che vede precursori fondamentali come
Jorge Luis Borges, Leopoldo Lugones, Horacio Quiroga e, in particolare, Domingo
Faustino Sarmiento nel XIX secolo. Si tratta di una forma consolidata
all’interno della tradizione ispanoamericana, a volte non valorizzata a
sufficienza dalla critica.
Accostare,
dunque, Dámaso Martínez a due nomi importanti della letteratura argentina recente
come Saer e Piglia non è un mero atto celebrativo da collocare alla fine della
traduzione di un suo romanzo. Significa individuare una tradizione o una
corrente (nel caso lo fosse, priva di manifesto programmatico) letteraria
nazionale nella quale il nostro autore occupa uno spazio rilevante.
Tratto dalla Postfazione di Marcella
Solinas, traduttrice e curatrice dell'opera.
Ceneri nel vento di Carlos Dámaso Martínez è reperibile sul
sito di Edizioni Arcoiris al seguente link: