L’amico sconosciuto
Scrivere una prefazione
a questo libro di Antonio Nazzaro non è semplice. Non solo perché Antonio
Nazzaro per quel po’ che lo conosco non mi pare tipo da prefazioni, preamboli,
premesse. E’ uno che ama arrivare al dunque o provare ad afferrare il nocciolo
in fretta. Non per smania o per nevrosi (si vedrà qui che il tempo per lui è un
movimento vario, pieno anche di lentezze, di lunghi piani-sequenza).
Insomma non è facile
soprattutto perché questa scrittura non sopporta nulla se non la propria
necessità, la forza che appare come debolezza strutturale e stilistica e invece
trascina il lettore in una specie di mantra, di ripetizione e approfondimento.
Il cui fuoco è la scoperta
di un’altra specie di memoria. “Ricordare il presente”, dice a un certo punto
chi parla nel testo (una voce, un protagonista, l’autore, chi?).
Come se il presente nel
suo stesso accadere fosse al tempo stesso terra da scavare, cielo da viaggiare,
e paesi e città. “E non una vita soltanto”,
dice in un suo verso da me rubato come titolo di un libro di viaggi nella
letteratura. E qui, dove Torino, Caracas, il suo monte Avila, il volto nello
schermo del PC, e altre cose sembrano sovrapporsi come veli su veli, la memoria
e il presente convivono. Perché un uomo è questa convivenza, “In me abitano moltitudini”, diceva più o
meno il vecchio Walt Whitman, immortalato da Federico Garcia Lorca come “vecchio pederasta con la barba piena di farfalle”. E Arthur Rimbaud
fu fiammante nel dire, ben prima di ogni presunta scoperta freudiana, “J’est un autre”, io è un altro.
Le citazioni dei poeti
non servono solo ad ancorare la scrittura di Antonio Nazzaro in una questione
che da secoli agita gli scriventi perché agita i viventi, ma anche per
segnalare la natura di poesia accennata di questo andare avanti per prosa e per
ripetizioni. Come una poesia intimidita.
Topo Gigio, la Carrà,
il padre Nano e Mago, Porta Palazzo, la metro di Caracas, tutto è possibile
materia di visione per Antonio Nazzaro. Con tracce di surrealismo senza enfasi
(quella tazzina che “ha occhi di poliziotto”) e con tracce di passione civile
non sopita (l’Italia non è nostalgia ma “memoria tradita”, e memoria vuol dire
appunto presente e passato insieme) la scrittura di Antonio Nazzaro è tesa a
tracciare una strana mappa. Mappa di sorrisi, di fantasmi, di presenze, ma
soprattutto mappa di occhi: “per trovarvi la vita devi andarvi quasi al fondo”.
Che sono i suoi pozzi di viandante. Occhi pieni di crack o occhi di persona
amante, occhi di niente, occhi che vedono il cielo toccato dall’Avila o il
niente.
[…] Chi come me conosce
Caracas e Torino sa che i pochi cinematografici tratti che ne dà Antonio
ritraggono l’anima dei due posti. Ma lo scopo non è descrivere l’ennesima
storia di un italiano in viaggio verso un altrove che è sempre fonte di
meraviglia (poiché l’italiano ha poche virtù, ma una certo è la meraviglia –
anche se si trattiene dall’esprimerla. Da tale meraviglia nasce l’arte come la
voglia di intraprendere qualcosa. Senza meraviglia non nasce l’impegno. In
questo libro pieno di meraviglia dura, di memoria meravigliata e offerta, c’è
il motivo del tanto impegno di Antonio Nazzaro. E di quelli che come lui non
cessano di cercare l’amico sconosciuto.
Davide Rondoni
Odore a. Torino-Caracas senza ritorno di Antonio Nazzaro è disponibile sul sito di Edizioni Arcoiris al
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