lunedì 31 ottobre 2011

Scrittura e morte

Inchiostro sangue: si chiama così l'antologia di racconti e saggi sul genere poliziesco nel Río de la Plata curata da Loris Tassi e Antonella De Laurentiis per Arcoiris. Inchiostro sangue perchè nei racconti selezionati emerge un drammatico legame tra scrittura e morte: i protagonisti, infatti, sono in gran parte scrittori e giornalisti alle prese, come in ogni poliziesco che si rispetti, con le logiche dell'investigazione e con quelle, meno evidenti, di delittuosi enigmi. Il lettore è così condotto in strade e locali malfamati di periferia, invogliato ad interrogarsi e a formulare congetture fin dal primo racconto che, nel lontano 1884, segnò la nascita del poliziesco argentino: "L'indagine" di Paul Groussac. Un percorso, quello di "Inchiostro sangue", che si snoda dal classico e "pacato" poliziesco d'enigma al più duro e inquietante hard boiled che emerge in tutta la sua crudezza dalle righe de "La pazza e il racconto del crimine" di Ricardo Piglia dove il diritto di espressione di un giovane giornalista esperto di linguistica si scontra irrimediabilmente con la logica castrante della censura. E la libertà di stampa è anche il tema di fondo, bruciante, de "Il tipo" di Mempo Giardinelli, abile costruzione letteraria che mette il lettore nella medesima condizione di dubbio, ansia e rassegnazione miste a paura del protagonista, ancora una volta un articolista.
A meglio esplicitare il legame a doppio filo tra scrittura e morte è però proprio "Inchiostro di sangue" di Juan Sasturain, racconto labirintico che mostra la somiglianza e interscambiabilità dei due fluidi. Non mancano poi le parodie, come nel caso dei racconti di Quiroga e Levrero, e il riferimento a fatti reali come in "Quelli che hanno visto passare il re" di Carlos Gamerro, ispirato ad un caso di cronaca nera avvenuto a Buenos Aires negli anni '90. Il piacere della lettura non diminuisce con il passaggio dai racconti ai saggi, che contengono riflessioni sul genere poliziesco di Piglia e Saer, nonchè dei docenti di letteratura ispanoamericana Loris Tassi e Andrea Pezzè. Un'antologia accattivante che offre al lettore italiano la possibilità di scoprire nuove ed inedite scene del delitto: uno stimolante e misterioso viaggio verso la verità, sui binari del dubbio e dell'ipotesi.

Emanuela Guarnieri, Roma n°6, 7 gennaio 2011

venerdì 28 ottobre 2011

Presentazione libro "Una fenomenologia dell'assenza. Studio su Borges"

Martedì 8 novembre alle 18:00, presso la Libreria Perditempo di Napoli, verrà presentato il libro "Una fenomenologia dell'assenza. Studio su Borges" di Livio Santoro, Edizioni Arcoiris, 2011.
Ne parleranno con l'autore il prof. Giancarlo Alfano, docente di letteratura italiana presso la Facoltà di Filosofia della Seconda Università di Napoli, e il prof. Oreste Ventrone, docente presso il Dipartimento di Sociologia Gino Germani dell'Università degli Studi di Napoli Federico II.

 
Libreria Perditempo
Piazza Dante 44/45 - Napoli

martedì 25 ottobre 2011

Il sangue scorre sul fiume Massacro

Nella zona di frontiera tra Haiti e la Republica Dominicana esiste una città chiamata Dajabon, zona in cui due volte a settimana viene fatto un mercato (molto molto esteso)  sia dell'usato in cui viene venduto principalmente ciò che i ricchi fratelli statunitensi donano ai "meno fortunati" (ciò che a voi non serve a noi sarà di grande aiuto), sia la merce generica che viene scambiata fra haitiani e dominicani, tradizione che affonda le sue origini nell'epoca coloniale quando le popolazioni contabbandavano fra loro prodotti proibiti dagli spagnoli.
I cittadini haitiani che attraversano la frontiera per vendere la loro mercanzia, hanno un permesso limitato ad un lasso di tempo di alcune ore, dopodichè dietrofront e si ritorna in patria. Neanche a dirlo, la frontiera è fortemente militarizzata, presidiata costantemente da militari dominicani armati, ma non per questo limite invalicabile: ancora oggi Dajabon è il principale punto di accesso alla Repubblica Dominicana per i clandestini haitiani che vogliono fuggire dal proprio paese.
Ciò che delimita il punto di separazione fra i due paesi che formano l'isola di Hispaniola è un fiume il cui nome originario era Dahabon e che oggi si conosce con il nome di Rio Masacre (fiume Massacro), nome che rimanda al massacro di haitiani compiuto nel 1937 per ordine del presidente/dittatore dominicano Trujillo. Uomo dai modi decisamente poco urbani, ordinò una pulizia etnica che ebbe la durata di 11 giorni ed alla fine della quale il numero di haitiani sterminati ammontava a 15 mila uomini.
Tutti coloro che non riuscivano a pronunciare la parola spagnola perejil (prezzemolo) venivano giustiziati.
Si racconta che nel corso del suddetto massacro, il sangue grondante dai corpi degli haitiani trucidati che cadevano nel fiume, rese il fiume completamente rosso, da lì il nome di Rio Masacre.

Le Ande di casa nostra

"Oltre a nordafricani, asiatici o europei dell’est e dei Balcani, in Italia ogni anno giungono migranti anche da un altro sud del mondo, l’America Latina. Eppure dei latinoamericani nel nostro paese, ci si occupa quasi esclusivamente a proposito delle gang giovanili che turbano la quiete delle periferie di Genova, Torino o Milano. Ancora poco si sa della distribuzione insediativa e lavorativa, della nazionalità di provenienza, della composizione sociale. Del resto, che siano dominicani o peruviani, ecuadoriani o boliviani, poco importa. Sono tutti indistintamente latinoamericani, e, ragionando per stereotipi, ballerini o, in ogni caso, “portatori sani” della tradizione artistico-musicale del subcontinente. A fare chiarezza e a spiegare perché i paesi latinoamericani siano diventati di recente “espulsori” di emigranti e perché questi ultimi abbiano scelto proprio l’Italia (e l’Europa), provvede la ricerca di Maria Rossi Napoli barrio latino (Salerno, Arcoiris, 2011, pp. 255, € 12,00).
Da storica meta di immigrazione, l’America Latina si è trasformata negli ultimi decenni in area di emigrazione dapprima di tipo fronterizo (cioè tra paesi latinoamericani confinanti) ma, soprattutto, verso gli Stati Uniti e, poi, verso l’Europa “che da nuova frontiera della migrazione latinoamericana negli anni Novanta ne è diventata meta prediletta”. Se negli anni Settanta, infatti, l’emigrazione latinoamericana verso il vecchio continente fu in special modo di tipo politico (esiliati e rifugiati in fuga dalle dittature militari), “nel decennio successivo […] la presenza latinoamericana in Europa si è diversificata, innanzitutto aumentando in numero, […] ma soprattutto grazie al moltiplicarsi dell’immigrazione economica di cui si rendono protagonisti i rappresentanti della classe media in fase di impoverimento. Saranno proprio questi immigrati economici […] a dare vita alle prime esperienze di reti migranti, favorendo lo sviluppo di flussi che, negli anni Novanta e fino ai giorni nostri, diventeranno massivi”.
Sul piano dei fattori che motivano questa inversione di tendenza e l’accelerazione dei flussi la Rossi individua gli storici legami euro-latinoamericani, un patrimonio culturale e linguistico comune, l’irrigidimento in materia di immigrazione degli Stati Uniti dopo l’11 settembre 2001 e “la necessità [dell’Europa] di manodopera specializzata per alcuni settori dell’economia”, a cui si aggiunge l’azione sempre più capillare delle reti. L’emigrazione latinoamericana è imponente: il numero dei migranti nella regione è passato da 20 milioni nel 2000 a oltre 26 milioni cinque anni dopo (cioè il 13% della popolazione migrante mondiale). Di questi, all’incirca un paio di milioni si sono diretti verso l’Europa. Spagna e Italia sono in prima fila come mete migratorie europee.
Nel caso dell’Italia, secondo i dati Istat del 2008, i residenti latinoamericani sono circa 300.000 (cioè il 7,7% della popolazione immigrata). Per quanto concerne la loro struttura, l’autrice sottolinea che, nella fase attuale, “i principali paesi d’origine non sono più solo quelli della grande emigrazione italiana […] ma quelli dell’area andina i cui migranti partono soprattutto per ragioni economiche; la distribuzione per sesso vede il netto predominio femminile; sono aumentate le regioni interessate dalla loro presenza; e si sono moltiplicate le attività sociali delle singole comunità, segno di mobilità sociale ed accesso di visibilità. Da parte sua, la società italiana sembra aver riservato un’accoglienza privilegiata ai latinoamericani. L’atteggiamento che gli italiani hanno nei loro confronti è genericamente accogliente, benevolo e, chissà, anche partenalistico”.
La seconda parte del libro è dedicata alle migrazioni latinoamericane a Napoli e in Campania. Qui l’analisi dell’autrice si fa minuziosa e si avvale di numerose testimonianze orali. In questo quadro, viene anche individuato una sorta di case-study relativo al gruppo più numeroso, quello dei peruviani, di cui si descrivono tra l’altro, l’organizzazione associativa e le pratiche religiose. Emerge un affresco di grande vivacità, di accoglienza, di integrazione, di ibridazione culturale, (sebbene non manchino momenti di tensione) che, per certi versi, sembra stridere con il clima di intolleranza che attraversa l’Italia, contribuendo a fare di Napoli, almeno nel caso della comunità latinoamericana, un laboratorio di convivenza."
Raffaele Nocera, Le Monde Diplomatique n.7, anno XVIII, luglio 2011, p.22

venerdì 14 ottobre 2011

"L'altra America" visto da Limes


(…) Ma andiamo al libro, il cui titolo si avvicina in qualche modo a quello della presente rubrica: L’altra America Tra Messico e Venezuela, storie dell’estremo Occidente (Edizioni Arcoiris, pp.280, euro 12). “Estremo Occidente”, prima di diventare l’insegna del blog di Federico Rampini, era stato d’altronde il titolo del libro che all’America latina aveva dedicato Alain Rouquié, mentre Marcello Carmagnani ha parlato di “Altro Occidente” e Ludovico Incisa di Camerana di “Terzo Occidente”. Insomma, si gira attorno a un concetto che ormai sta diventando familiare un po’ a tutti coloro che si occupano della regione. Piero Armenti, classe 1979, uno dei due autori, è un giornalista, che ha lavorato per cinque anni a Caracas con La Voce d’Italia, giornale della comunità italiana in Venezuela.

Inoltre ha collaborato con Corriere del Ticino, Panorama e Il fatto, ma nel contempo sta anche frequentando un dottorato presso l’Orientale di Napoli. Antonio Pagliula, classe 1982, l’altro autore, è invece un laureato in Managment Internazionale, che è stato in Messico per studio e lavoro dal 2007 al 2009. L’uno pone come sua principale sfera d’interesse la rivoluzione bolivariana in Venezuela; l’altro l’economia e i mercati emergenti latinoamericani. Tutti e due hanno però approfittato della loro esperienza all’estero per raccontarla in un blog: www.notiziedacaracas.it quello di Armenti; www.verosudamerica.com quello di Pagliula. Se vogliamo entrambi titoli un po’ fuorvianti. Le notizie di Armenti non arrivavano infatti solo da Caracas, ma da tutto il Venezuela, e a volte anche da altre località latino-americane. Quanto al “vero sudamerica”, è vero che il blog si occupava massicciamente un po’ di tutta l’area. Tecnicamente però il Messico è nordamerica dal punto di vista geografico; centroamerica da quello culturale. Sudamerica, evidentemente, qui è solo quel sinonimo un po’ impreciso con cui nel corrente parlare italiano ci si riferisce spesso all’intera America latina.

Attenti, però! Per un blogger l’usare un linguaggio il più vicino possibile a quello parlato, magari con le sue imprecisioni, non è necessariamente un difetto. Armenti nell’introduzione ammette con brio che “la storia di due nanetti” contenuta in questo libro, “alcuni post rivisti di Notizierdacaracas, (altri), sempre rivisti di Verosudamerica (e) poi infine un saggio inedito sul Venezuela”, alla fine potrà pure sembrare “un po’ caotico”. Ma se è così “brinderemo con spumante italiano. È così l’America latina, è così Caracas. È così la Boglosfera, è così la traiettoria degli italiani in pellegrinaggio (laico) per il mondo”. Per la verità, la lettura delle due parti tutta d’un fiato, cosa che il sottoscritto ha fatto, potrebbe suggerire anche un’altra immagine: quella del “visto da destra visto da sinistra” già cara a Giovannino Guareschi. “Visto da destra” la parte di Armenti, e non solo per il modo in cui il modello chavista ne viene demolito senza pietà.

C’è anche un certo tipo di allegre notazioni antropologiche, che ricordano una certa verve di alcuni grandi inviati italiani del passato, da Montanelli a Pizzinelli, che alla destra si collocavano: sia pure una destra liberale. Impagabili, ad esempio, i consigli agli europei su come adeguarsi alle condizioni igienico-sanitarie locali, che d’altronde è a doppio taglio: gli europei non si capacitano dell’apparente scarsa cura dei popoli tropicali per la confezione delle vivande; ma d’altra parte per i venezuelani è dogma che gli europei puzzino, per scarsa familiarità con acqua e sapone. Il che poi interferisce anche con i consigli al maschio latino: “perché l’uomo italiano non seduce la venezuelana”. “Il fatto che il corpo della bella donna venezuelana sia formoso, fino all’oscenità, non implica che quello stesso corpo abbia voglia di tutti, e soprattutto di voi. Sedurre è un’altra cosa. In realtà pensare che il vostro sex-appeal sia un riflesso del Pil italiano, è una presunzione fuori luogo”. Insomma, non è dappertutto come a Cuba, con la sua prostituzione di massa da penuria.

Pagliula, invece, fa un po’ il “visto da sinistra”. Durissima la critica ai governi “fallimentari” del centro-destra del partito di azione nazionale messicano. Sarcastico il tono verso le “novità made in Usa” dei “muri di frontiera e torture legali”. Evidente l’attrazione per le novità dei governi di sinistra che stanno dilagando nel resto della regione. E continua anche la battaglia contro gli abusi delle multinazionali che, ricorda Armenti nell’introduzione, è valsa a verosudamerica lunghe lettere delle stesse multinazionali. Contenuti a parte, anche se Pagliula ammette di non essere un vero giornalista come l’amico Armenti, è pure nella miglior tradizione dei reporter di sinistra la cifra dell’indignazione. “Oaxaca ha paura, la si può leggere negli occhi di chiunque, dalla vecchietta del negozio all’angolo al proprietario del ristorante, passando per i commercianti degli innumerevoli mercanti che popolano la città”, annota ad esempio il 15 novembre del 2007. “Paura. Frustrazione, paralisi si percepiscono al passeggiare tra le vie della città. Molta gente sembra intimidita al parlare dei fatti degli ultimi tempi, si sente quasi impotente. Non per questo però c’è rassegnazione, anzi”.

Sono però proprio sguardo da destra e sguardo da sinistra che si fondono assieme per dare una visione d’insieme migliore, il segreto di quella visione stereoscopica che ha dato all’uomo e ai primati un vantaggio evolutivo decisivo. D’altra parte, la storia del Messico gigante petrolifero che nel 2000 manda al governo con Vicente Fox la prima alternativa neo-liberale al modello populista al potere dai tempi della rivoluzione messicana è quasi esattamente speculare a quella del Venezuela gigante petrolifero che nel 1999 manda al governo con Hugo Chávez la prima alternativa populista al modello neo-liberale che si è andato imponendo in gran parte della regione nel decennio precedente. E anche i due autori, che si proclamano appunto amici e hanno fatto questo libro assieme, finiscono in fondo per convergere. Armenti non può consentire con l’evoluzione autoritaria di Chávez e neanche con il suo disastroso dilettantismo economico, ma registra con attenzione il vuoto di programma dell’opposizione, le speranze che la politica redistribuzionista del regime ha suscitato, i movimenti sociali che hanno intravisto una storica occasione di riscatto. Punto centrale del suo saggio finale è la storia del leader comunitario Juan Contreras e della sua radio. Visto con evidente simpatia, anche se poi fa sua l’analisi dell’esperto di comunicazioni Antonio Pasquali: “Il governo di Chávez si è appropriato di quest’idea democratica, l’ha convertita in caricatura ideologica: consegna le stazioni chiavi in mano (comperate ai cubani) ai fedelissimi del quartiere. La loro definizione ufficiale è mezzi autogestiti con risorse dello Stato. Una tomba della vera libertà di espressione”.

Pagliula è col cuore dalla parte dei risentimenti latino-americani contro i prepotenti gringos, ma quando vede i governi di sinistra della regione rallegrarsi per la crisi dei mercati finanziari, “come se questo significasse la caduta del sistema capitalista e di conseguenza dell’Impero Usa”, gli cascano le braccia. “In realtà se fossi un presidente latinoamericano mi preoccuperei seriamente”, annota il 23 settembre 2008. “Gli Stati Uniti in recessione economica significa crollo dei prezzi delle materie prime (petrolio per Venezuela, gas per Bolivia, soia per Argentina per esempio) ed una diminuzione della domanda manifatturiera. Sarà più difficile per i Paesi latinoamericani accedere a prestiti, visto che gli investitori sposteranno le loro preferenze verso mercati più sicuri. Diminuiranno le rimesse degli Stati Uniti verso il centroamerica, su cui si sostiene l’economia familiare di molti Paesi”. La manciata di notizie venezuelane da cui siamo partiti dimostra quanto questa analisi fosse corretta!



25/02/2010
Maurizio Stefanini

mercoledì 12 ottobre 2011

"L'arte è pagata o troppo o troppo poco"

"L'arte è pagata o troppo o troppo poco", Opinioni di un clown,  Heinrich Böll

La scorsa notte ho ricevuto la mail di uno dei prossimi autori che pubblicherà la Arcoiris, uno dei più grandi autori viventi dell'America Latina. Ha dedicato metà della sua vita alla letteratura, allo scrivere ad altissimi livelli, non è più un ragazzino e nonostante ciò deve lavorare duramente per pagare l'affitto di casa e mangiare, a volte non riesce neanche a far fronte a queste spese e quindi quelli che si definiscono suoi discepoli intervengono economicamente e lo aiutano.
In molti penseranno che lui non è l'unico ad avere difficoltà e che almeno può contare sull'aiuto di chi si fa carico delle sue spese.
Giustissimo!
Il punto è che nel suo caso, e da rabbia e rammarico, l'arte non lo ha ripagato.
Non ci sono molte alternative, o si è venerati e strapagati, o si resta al di fuori di certi meccanismi commerciali e quindi si arriva al punto di vivere di stenti perchè la cultura non paga.
Va da sè che il tema è estremamente complesso e non può essere esaurito qui in poche righe.
Mi limitavo a constatare che la cultura rende liberi, ma a volte rende anche poveri.