venerdì 14 ottobre 2011

"L'altra America" visto da Limes


(…) Ma andiamo al libro, il cui titolo si avvicina in qualche modo a quello della presente rubrica: L’altra America Tra Messico e Venezuela, storie dell’estremo Occidente (Edizioni Arcoiris, pp.280, euro 12). “Estremo Occidente”, prima di diventare l’insegna del blog di Federico Rampini, era stato d’altronde il titolo del libro che all’America latina aveva dedicato Alain Rouquié, mentre Marcello Carmagnani ha parlato di “Altro Occidente” e Ludovico Incisa di Camerana di “Terzo Occidente”. Insomma, si gira attorno a un concetto che ormai sta diventando familiare un po’ a tutti coloro che si occupano della regione. Piero Armenti, classe 1979, uno dei due autori, è un giornalista, che ha lavorato per cinque anni a Caracas con La Voce d’Italia, giornale della comunità italiana in Venezuela.

Inoltre ha collaborato con Corriere del Ticino, Panorama e Il fatto, ma nel contempo sta anche frequentando un dottorato presso l’Orientale di Napoli. Antonio Pagliula, classe 1982, l’altro autore, è invece un laureato in Managment Internazionale, che è stato in Messico per studio e lavoro dal 2007 al 2009. L’uno pone come sua principale sfera d’interesse la rivoluzione bolivariana in Venezuela; l’altro l’economia e i mercati emergenti latinoamericani. Tutti e due hanno però approfittato della loro esperienza all’estero per raccontarla in un blog: www.notiziedacaracas.it quello di Armenti; www.verosudamerica.com quello di Pagliula. Se vogliamo entrambi titoli un po’ fuorvianti. Le notizie di Armenti non arrivavano infatti solo da Caracas, ma da tutto il Venezuela, e a volte anche da altre località latino-americane. Quanto al “vero sudamerica”, è vero che il blog si occupava massicciamente un po’ di tutta l’area. Tecnicamente però il Messico è nordamerica dal punto di vista geografico; centroamerica da quello culturale. Sudamerica, evidentemente, qui è solo quel sinonimo un po’ impreciso con cui nel corrente parlare italiano ci si riferisce spesso all’intera America latina.

Attenti, però! Per un blogger l’usare un linguaggio il più vicino possibile a quello parlato, magari con le sue imprecisioni, non è necessariamente un difetto. Armenti nell’introduzione ammette con brio che “la storia di due nanetti” contenuta in questo libro, “alcuni post rivisti di Notizierdacaracas, (altri), sempre rivisti di Verosudamerica (e) poi infine un saggio inedito sul Venezuela”, alla fine potrà pure sembrare “un po’ caotico”. Ma se è così “brinderemo con spumante italiano. È così l’America latina, è così Caracas. È così la Boglosfera, è così la traiettoria degli italiani in pellegrinaggio (laico) per il mondo”. Per la verità, la lettura delle due parti tutta d’un fiato, cosa che il sottoscritto ha fatto, potrebbe suggerire anche un’altra immagine: quella del “visto da destra visto da sinistra” già cara a Giovannino Guareschi. “Visto da destra” la parte di Armenti, e non solo per il modo in cui il modello chavista ne viene demolito senza pietà.

C’è anche un certo tipo di allegre notazioni antropologiche, che ricordano una certa verve di alcuni grandi inviati italiani del passato, da Montanelli a Pizzinelli, che alla destra si collocavano: sia pure una destra liberale. Impagabili, ad esempio, i consigli agli europei su come adeguarsi alle condizioni igienico-sanitarie locali, che d’altronde è a doppio taglio: gli europei non si capacitano dell’apparente scarsa cura dei popoli tropicali per la confezione delle vivande; ma d’altra parte per i venezuelani è dogma che gli europei puzzino, per scarsa familiarità con acqua e sapone. Il che poi interferisce anche con i consigli al maschio latino: “perché l’uomo italiano non seduce la venezuelana”. “Il fatto che il corpo della bella donna venezuelana sia formoso, fino all’oscenità, non implica che quello stesso corpo abbia voglia di tutti, e soprattutto di voi. Sedurre è un’altra cosa. In realtà pensare che il vostro sex-appeal sia un riflesso del Pil italiano, è una presunzione fuori luogo”. Insomma, non è dappertutto come a Cuba, con la sua prostituzione di massa da penuria.

Pagliula, invece, fa un po’ il “visto da sinistra”. Durissima la critica ai governi “fallimentari” del centro-destra del partito di azione nazionale messicano. Sarcastico il tono verso le “novità made in Usa” dei “muri di frontiera e torture legali”. Evidente l’attrazione per le novità dei governi di sinistra che stanno dilagando nel resto della regione. E continua anche la battaglia contro gli abusi delle multinazionali che, ricorda Armenti nell’introduzione, è valsa a verosudamerica lunghe lettere delle stesse multinazionali. Contenuti a parte, anche se Pagliula ammette di non essere un vero giornalista come l’amico Armenti, è pure nella miglior tradizione dei reporter di sinistra la cifra dell’indignazione. “Oaxaca ha paura, la si può leggere negli occhi di chiunque, dalla vecchietta del negozio all’angolo al proprietario del ristorante, passando per i commercianti degli innumerevoli mercanti che popolano la città”, annota ad esempio il 15 novembre del 2007. “Paura. Frustrazione, paralisi si percepiscono al passeggiare tra le vie della città. Molta gente sembra intimidita al parlare dei fatti degli ultimi tempi, si sente quasi impotente. Non per questo però c’è rassegnazione, anzi”.

Sono però proprio sguardo da destra e sguardo da sinistra che si fondono assieme per dare una visione d’insieme migliore, il segreto di quella visione stereoscopica che ha dato all’uomo e ai primati un vantaggio evolutivo decisivo. D’altra parte, la storia del Messico gigante petrolifero che nel 2000 manda al governo con Vicente Fox la prima alternativa neo-liberale al modello populista al potere dai tempi della rivoluzione messicana è quasi esattamente speculare a quella del Venezuela gigante petrolifero che nel 1999 manda al governo con Hugo Chávez la prima alternativa populista al modello neo-liberale che si è andato imponendo in gran parte della regione nel decennio precedente. E anche i due autori, che si proclamano appunto amici e hanno fatto questo libro assieme, finiscono in fondo per convergere. Armenti non può consentire con l’evoluzione autoritaria di Chávez e neanche con il suo disastroso dilettantismo economico, ma registra con attenzione il vuoto di programma dell’opposizione, le speranze che la politica redistribuzionista del regime ha suscitato, i movimenti sociali che hanno intravisto una storica occasione di riscatto. Punto centrale del suo saggio finale è la storia del leader comunitario Juan Contreras e della sua radio. Visto con evidente simpatia, anche se poi fa sua l’analisi dell’esperto di comunicazioni Antonio Pasquali: “Il governo di Chávez si è appropriato di quest’idea democratica, l’ha convertita in caricatura ideologica: consegna le stazioni chiavi in mano (comperate ai cubani) ai fedelissimi del quartiere. La loro definizione ufficiale è mezzi autogestiti con risorse dello Stato. Una tomba della vera libertà di espressione”.

Pagliula è col cuore dalla parte dei risentimenti latino-americani contro i prepotenti gringos, ma quando vede i governi di sinistra della regione rallegrarsi per la crisi dei mercati finanziari, “come se questo significasse la caduta del sistema capitalista e di conseguenza dell’Impero Usa”, gli cascano le braccia. “In realtà se fossi un presidente latinoamericano mi preoccuperei seriamente”, annota il 23 settembre 2008. “Gli Stati Uniti in recessione economica significa crollo dei prezzi delle materie prime (petrolio per Venezuela, gas per Bolivia, soia per Argentina per esempio) ed una diminuzione della domanda manifatturiera. Sarà più difficile per i Paesi latinoamericani accedere a prestiti, visto che gli investitori sposteranno le loro preferenze verso mercati più sicuri. Diminuiranno le rimesse degli Stati Uniti verso il centroamerica, su cui si sostiene l’economia familiare di molti Paesi”. La manciata di notizie venezuelane da cui siamo partiti dimostra quanto questa analisi fosse corretta!



25/02/2010
Maurizio Stefanini

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