giovedì 9 febbraio 2012

"Una fenomenologia dell'assenza. Studio su Borges" visto da REF

Le riflessioni di Livio Santoro sulle implicazioni filosofiche dell’opera di Borges hanno il pregio di inscriverne il portato nel quadro della più ampia presa di congedo – che informa larga parte della filosofia del Novecento – dalla centralità accordata alla soggettività da Descartes all’alba della modernità. Se la filosofia di Hegel può essere considerata come il vertice speculativo del ruolo fondante accreditato alla soggettività, l’opera letteraria di Borges rappresenta una profonda e radicale problematizzazione del primato “ontologico” assunto in generale dalla soggettività nella modernità. 
Risulta del tutto evidente come ciò non sia una sola esclusiva di Borges. Infatti, Santoro adduce come esempi di “tentativi di abbandonare la questione ontologica” (p. 22) della soggettività Essere e tempo (1927) di Heidegger (in particolare la categoria esistenziale della “gettatezza” (Geworfenheit) nel mondo), ed i Principi di una filosofia della morale (1972) di Pietro Piovani, in particolare il principio dell’assenzialismo che interpreta programmaticamente la soggettività come “assenza di fondamento”. La gettatezza e l’assenza di fondamento allora “fondano per Heidegger e Piovani il soggetto come ente inizialmente e originariamente negativo” (p. 24), dando luogo ad una coerente “ontologia negativa” della soggettività. Entro queste coordinate filosofiche l’opera di Borges si configura per Santoro come il “coronamento della dichiarazione di impraticabilità del terreno dell’ontologia” (p. 27). Per documentare in maniera esemplare il ribaltamento dell’ordine assiologico scandito dal privilegio della soggettività rispetto agli oggetti, Santoro rimanda al noto racconto L’incontro tratto dal Il manoscritto di Brodie (1970), in cui si narra del duello mortale tra Uriarte e Duncan. Come spesso accade in Borges, i veri protagonisti del racconto non sono i due gauchos, ma i pugnali, gli oggetti, con cui essi si sfidano all’ultimo duello: “Entrambe [sc. le armi] sapevano combattere – non gli uomini, loro strumenti – e combatterono bene quella notte”. È, dunque, il pugnale, l’oggetto, – com’è il caso, per esempio, anche degli scacchi nell’omonimo poema di Borges – a muovere ed a istruire il processo dell’agire proprio del soggetto, rendendolo mero strumento di lotta. Indissociabile da questa caratterizzazione negativa della soggettività si rivela anche l’indagine sul tempo da parte di Borges. Infatti, nella Storia dell’eternità (1936), accanto al concetto di eternità inteso come “scorrimento lineare” (p. 38) del tempo, secondo Santoro Borges mostra come il concetto di tempo sia stato improntato nella tradizione filosofica alla nozione di ciclicità. Rispetto alla concezione del tempo come eterno ritorno dell’uguale, per Santoro Borges delinea – anche in polemica con Nietzsche – una “concezione dei cicli similari ma non identici” (p. 40) del tempo. Come si riflette ciò, in termini positivi, sulla nozione negativa di soggettività? A giudizio di Santoro, la concezione di tempo proposta da Borges implica che “l’esistenza dell’uomo, e con essa quella del mondo, segue una sorta di indeterminabile finitezza in cui poter preservare da una parte il destino della libertà e dell’arbitrio, e dall’altra anche, e contemporaneamente, le peculiarità “definitorie” della realtà stessa nei suoi diversi accenti (anche al di là dell’uomo)” (p. 40). Le diverse declinazioni cui è stato sottoposto il concetto di tempo nel corso della storia del pensiero sono interpretate da Santoro in maniera fenomenologica, ossia sono concepite nell’opera di Borges come possibili concezioni del tempo a cui corrispondono altrettante concezioni della soggettività, incarnate in maniera esemplare dai protagonisti dei racconti. A tal proposito, si pensi qui al noto racconto Funes il memorioso (1956), in cui il protagonista ha una capacità di ricordo talmente abnorme, da vivere in un eterno passato sempre attualizzato nel presente. Scrive Borges: “In effetti, Funes ricordava non solo ogni foglia di ogni albero di ogni bosco, ma ognuna delle volte che l’aveva percepita o immaginata (…) Era quasi incapace di idee generali, platoniche” (p. 72). Prendendo come termine di riferimento contrastivo la diade heideggeriana di autenticità/inautenticità, Santoro mostra come Borges non voglia proporre una concezione del soggetto che sia più originaria di quella pensata dalla modernità, ma far vedere su un piano fenomenologico come vi siano possibili nozioni di soggetto in correlazioni a diversi concetti di tempo e di realtà. Su questo terreno, Santoro illumina – ed è qui che consiste il tratto peculiare del suo lavoro – la complessità dei personaggi borgesiani, avvalendosi delle interpretazioni fenomenologiche di Binswanger e di Minkowski. Per Santoro, infatti, Funes rappresenta in maniera esemplare un caso di soggetto psicotico nel quale la realtà, il tempo e il linguaggio sono, sì, ‘psicopatologicamente’ distorte, ma costituiscono al contempo una possibilità interpretativa degna e legittima. Scrive Santoro: “Ma l’angoscia di Funes, come d’altronde si potrebbe dire per le forme caratteriali degli altri personaggi borgesiani, non viene presentata come uno scacco ineludibile mosso all’autenticità (heideggeriana) del vissuto soggettivo, essa è ipotesi possibile di realtà (…)” (p. 76). Da questa prospettiva, Santoro mostra allora come alla temporalità vissuta dai soggetti di Borges corrisponda “una piattaforma esperienziale in cui vengono frammentati a dismisura gli accenti del reale, fino al raggiungimento paradossale della diffusione di presenti legittimi” (p. 41). E, di rimando, una concezione complessa, prospettica, della realtà interpretata da Borges come labirinto, la cui cifra costitutiva risiede nell’invalidare qualsivoglia tentativo di definizione ultima da parte del soggetto. Il labirinto o il caos “diventa la cifra negativa di un’indagine che principia come ontologica, ma che si nega nella diffusione dell’affermazione e delle legittimazione di ogni versione ipotizzabile del reale” (p. 106). A partire da questo quadro filosofico fondamentale, Santoro legge e affronta le altre tematiche borgesiane del sogno, dell’utopia, del significato della biblioteca universale, etc. Più in generale, a nostro avviso il pregio di questo volume di Santoro si configura come una rinnovata sollecitazione a leggere direttamente l’opera di Borges, la quale, benché offra notevoli spunti di discussione sui classi temi filosofici, è rimasta – anche polemicamente per bocca di Borges medesimo – letteratura e non filosofia. Se Borges stesso ha scritto che la metafisica può essere considerata come una diramazione della letteratura fantastica, resta sempre aperta la domanda – che ogni studio filosofico sullo scrittore argentino dovrà sempre affrontare – perché Borges ha scelto di fare letteratura e non filosofia.

Recensione di Daniele Petrella, 21.12.2011,

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