giovedì 15 dicembre 2011

Il labirinto dell'identità ne El cantor de tango di Tomás Eloy Martínez

Nelle prossime settimane arricchiremo il nostro catalogo con un libro scritto da Andrea Masotti e che sarà il secondo volume della collana La battaglia dei libri (primo volume della collana è "Una fenomenologia dell'assenza. Studio su Borges" di Livio Santoro).

Andrea Masotti (Verona, 1982), dottorando in Letterature Straniere e Scienze della Letteratura presso l'Università degli Studi di Verona. Si occupa di letteratura ispanoamericana, in particolare la sua attività di ricerca è rivolta all'opera di Roberto Bolaño e alla letteratura argentina del Novecento.

"Esistono svariate maniere di perdersi, di smarrire la strada, e ne El cantor de tango di Tomás Eloy Martínez queste maniere vengono passate tutte in rassegna, sulla pelle del povero protagonista e dei vari personaggi, una a una. La presente analisi tenta di scandagliare le dinamiche che questi smarrimenti attivano nella complessa trama del romanzo, e i meccanismi letterari in gioco dietro di esse, tra le righe della narrazione.
Tutta la storia si sviluppa sul sottile e sempre critico confine che divide il mondo reale dal mondo finzionale, secondo una manipolazione consapevole e ricercata, da parte dell'autore, degli elementi che fanno parte dell'uno e dell'altro: lungo questa linea si dipanano le vicende in analisi, la lunga ricerca di Bruno Cadogan, accademico nordamericano, destinata a concludersi in un totale fallimento.
In questo si rileva il primo grande paradosso del libro di Eloy Martínez, che si struttura come il resoconto di una ricerca, di una quête iniziatica al contempo interiore ed esteriore, ma che si rivela essere il suo esatto contrario: un itinerario verso la progressiva e inesorabile perdita di tutto, della strada, di una solida identità, degli stessi obiettivi per i quali la ricerca aveva avuto inizio.
Quello del protagonista è un inseguimento duplice, il cui primo oggetto è il cantor de tango che dà il titolo al romanzo, un cantante al contempo leggendario e misconosciuto, le cui imprevedibili e itineranti esibizioni costituiscono un enigma che riguarda l'intera città (Buenos Aires) e il suo passato. La seconda meta, come il cantor sempre solo sfiorata, quasi intravista, e mai raggiunta, è l'aleph, il fantastico prodotto della fantasia letteraria di Borges.
Nel tentare di ricostruire i non facili passaggi che scandiscono questo percorso di dissoluzione, questo processo che in qualche modo distorce e ribalta il tradizionale iter dell'eroe alla scoperta di sé (delineando così una sorta di romanzo di de-formazione), la presente analisi si appoggia soprattutto a due autori: oltre al già citato Jorge Luis Borges, il secondo polo ˗ richiamato fin dall'epigrafe iniziale dal libro stesso ˗ è Walter Benjamin.
Sulla scorta dei due scrittori ˗ dei due pensatori ˗ si intuisce poco a poco ciò che sta dietro le due infruttuose ricerche di Cadogan, ovvero la terza ricerca che le include e le supera: lungo tutto il romanzo viene sviluppata un'implicita riflessione sull'identità, in particolare quella del narratore-protagonista, sfaccettata, sfuggente e inafferrabile come lo sono l'aleph e il cantor, e come loro fondamentalmente divisa tra la realtà e la finzione.
Esaminando e ricostruendo gli ingranaggi che muovono tali complicati incastri, questo saggio descrive in ultima analisi la forma del romanzo stesso, riassumibile soprattutto, come suggerisce il titolo, nella figura del labirinto. È un labirinto Buenos Aires (nello spazio, ma anche nel tempo), è un labirinto - dentro Buenos Aires - il percorso che disegnano il cantor e il suo inseguitore, è un labirinto il gioco di poroso intercambio tra la dimensione reale e quella finzionale. Ma oltre il labirinto, a complicarlo e a perfezionarlo interviene un'altra forma, che implica un altro movimento dei fatti, e della lettura e della scrittura stesse.
Per arrivare a capire di quale configurazione si tratti, l'analisi parte da quella che fin dall'inizio è forse la struttura più evidente: il libro pare in qualche modo diviso in due, sorretto da un andamento binario, secondo il quale due diverse dimensioni sono in continuo dialogo e tutto il resto - gli eventi, il protagonista, noi stessi lettori - rimane in mezzo, sul confine. Da una parte vi è sempre la realtà, ossia ciò che si suppone e si ammette essere la realtà nel contesto finzionale del romanzo (un romanzo, utile ricordarlo, che a tutta prima pare rispondere ai crismi del realismo, senza ambiguità di sorta, ambientato in una città vera durante fatti storici autenticamente avvenuti). Dall'altra parte, di volta in volta, si confrontano con la realtà e a essa si oppongono tutte le varie declinazioni dell'“irrealtà”: la dimensione letteraria, la dimensione cinematografica, la dimensione artistica in generale. Ma anche, in misura minore, l'allucinazione, lo stordimento dei sensi, quella zona incerta e anodina che corrisponde allo smarrimento.
È nel corso di questo esame che la prospettiva si sposta all'impostazione “meta-riferita” del romanzo, quale luogo di per sé preposto ad accogliere e proporre la finzione: tutta l'implicita riflessione su questo intercambio realtà/letteratura prende forma per forza di cose dall'altra parte del confine, nella dimensione letteraria, e l'oscillazione che l'intera narrazione continua a subire - senza risolversi a terminare, ad assestarsi dall'una o dall'altra parte - conosce il suo punto topico (la piega definitiva) nella parte finale, quando il protagonista si rivela essere anche il materiale scrittore dell'intera vicenda, del libro stesso.
Un'altra angolatura proposta nel saggio, dalla quale è altrettanto possibile individuare un'impalcatura duplice, un dialogo bidimensionale, è quella che riguarda il tempo del romanzo: la città esiste anche in questo caso su due livelli, paralleli e tangenti, ovvero il tempo presente e il tempo passato.
Interviene in questo caso il significativo sguardo dell'autore del romanzo sul vivo e ambiguo rapporto tra storia e storiografia, quest'ultima particolarmente permeabile alle intromissioni del fantastico, del letterario, del finzionale: Eloy Martínez si era già occupato di questo in testi saggistici e in più di un romanzo, su tutti va senz'altro menzionata la sua opera di maggior successo, Santa Evita.
Il labirinto costituisce quindi il nodo principale del saggio, e a esso è dedicata la sua parte centrale: qui si sviluppa il parallelo, nel romanzo tanto fondamentale quanto sommerso, tra le vicende narrate e il grande archetipo cretese. Lettura che si applica a tutti i personaggi, secondo la quale Bruno Cadogan percorre la traccia delle sue peripezie con il passo –contemporaneamente - di un mitologico Teseo e di un flâneur benjaminiano.
L'ultimo aspetto esaminato è quello linguistico: affrontando più direttamente la questione delle modalità compositive del romanzo, si propone un'analisi della lingua di ogni personaggio. Esiste nel libro una polifonia che, lungi dall'essere un mero artifizio formale, rivela un preciso valore anche per gli equilibri stessi della storia. La maniera di esprimersi del mai uguale io narrante, le lingue particolari che nei diversi contesti affiorano (la più significativa è la lingua dei tanghi antichi usata dal cantor), la stessa nominazione di tutti gli elementi del romanzo (onomastica, odonomastica), tutto riconduce all'ultimo grande labirinto, all'impalcatura stessa de El cantor de tango: la scrittura, creazione e distruzione, catarsi e prigionia a un tempo, filo di Arianna e inganno di Dedalo".

Andrea Masotti

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